Banano, Botanica, Sicilia

Comune di Sicilia meglio nota come Banana Locale

Comune di Sicilia

Musa acuminata Cultivar di banana Bluggoe Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
La Comune di Sicilia [1] (nota anche come banana locale [2] ) è una cultivar di banana coltivata in Sicilia [2] .

   

Storia

Probabilmente la sua introduzione sull’isola è da porre tra il XV e il XVI secolo[2].

Descrizione

La specie non si differenzia sensibilmente dall’Orinoco [2]  se non per le minori dimensioni dei frutti[2], e viene coltivata sul suolo siciliano assieme a quest’ultima [2] . Gli pseudofusti della “Comune di Sicilia” sono sottili (10-15 centimetri) [2] alti dai 3,5 ai 5 metri[2] con foglie che tendono a sfrangiarsi molto sotto l’azione del vento. Durante l’inverno le foglie divengono clorotiche a causa delle basse temperature [2] . La produzione di polloni è scarsa [2] .

I caschi sono piccoli e irregolari[2]; il rachide floreale è allungato (da mezzo metro ad un metro[2]). Le mani sono irregolari e portano da 5 a 7 frutti (generalmente 6)[2] l’una, per un totale di 15-25 frutti sui caschi più poveri, con una media di 30-40 frutti per casco [2] . I frutti pesano in media 40-60 grammi.

A maturazione le banane presentano un colore giallo carico o giallo ocra fino al giallo rossastro[2]. La polpa del frutto è croccante, compatta, acidula, poco aromatica [2] . I frutti presentano una forma corta e stondata, con costolature smussate [2] .

Usi

Sebbene sia stata presa in considerazione l’ipotesi di avviare una coltivazione commerciale di banane in Sicilia[2] questa ipotesi è stata scartata a causa della concorrenza insostenibile con le banane d’importazione [2] e per via della bassissima produttività della banana siciliana[2]. La coltivazione è dunque limitata all’autoconsumo o al piccolissimo dettaglio su base strettamente locale [2] rappresentando il frutto una curiosità. Anche a causa di ciò c’è pochissima letteratura su questa banana[2].

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Fonte la Repubblica.it > 2008 > 08 > 21 > Il miraggio svanito del b… 

Il miraggio svanito del banano palermitano

LE BANANE, i «frutti che profumano di rosa», piacciono a tutti, ma non se ne trovano a sufficienza in Sicilia nell’ Ottocento. Sono indiscutibilmente un cibo da ricchi. Le grandi foglie sottili della pianta, sfrangiate a maturità, danno un particolare tocco d’ esotico e diventano una presenza ricorrente in cortili del centro storico e nelle dimore patrizie fuori le mura.
(segue dalla prima di cronaca) Siamo alla fine del secolo, quando la pianta è studiata all’ Orto botanico di Palermo e il celebre vedutista Francesco Lojacono la riprende in una sua tela. I palermitani, che non hanno l’ occhio fine, scambiano spesso le foglie del banano per quelle della Strelitzia, che troneggia anch’ essa in grandi esemplari all’ Orto botanico. Si tratta di una specie diversa, anche se appartenente alla stessa famiglia, quella delle Musacee. Ma, mentre le foglie del banano sono tenere e traspirano con facilità, quelle della Strelitzia sono cuoiose e quasi impermeabili. Proprio nell’ istituto universitario alla Marina si ipotizza la coltivazione del banano in grandi estensioni. Il capo giardiniere dell’ Orto, Vincenzo Riccobono, nei primi del Novecento tesse le lodi della Musa paradisiaca X, originaria della Nuova Guinea, sottolineando subito la bontà del clima isolano. La pianta tropicale, amante del sole ma anche della “mezzombra”, presente già da alcuni decenni in Sicilia, cresce bene all’ aperto, a condizione che sia riparata dai venti di scirocco e tramontana. Riccobono esalta il valore redditizio della coltura, facendo anche un po’ i conti in tasca al coltivatore diretto. Il mandarino, infatti, non tira più da un pezzo e la generale crisi orticola porta a puntare sulle sperimentazioni delle nuove piante di origine tropicale. Per coltivare un terreno ben drenato e di buona qualità di poco più di 1000 metri quadrati, nei dintorni di Palermo, ci vogliono 905 lire, ma già dieci mesi dopo l’ impianto si può essere ripagati dai primi frutti, che diventano più abbondanti nel secondo e terzo anno di coltivazione. Calcolando la produzione di 550 grappoli al secondo anno, venduti a due lire ciascuno, si ha già la ragguardevole somma di 1.100 lire con la quale ci si è ampiamente ripresi le spese di impianto e preparazione del podere. Tuttavia il banano “nostrano” non sfonda, anche perché, qualche decennio più tardi, l’ Italia, che non ha mai abbandonato il sogno delle colonie, con la conquista di Etiopia e Somalia trova le terre «per dare le banane a tutti». Alla faccia della “perfida Albione” che detiene quasi per intero il monopolio del commercio delle banane in Europa. Mussolini manda il quadrumviro Cesare Maria De Vecchi ad amministrare le colonie africane e questi si impegna in particolar modo per la crescita dell’ agricoltura locale, tanto che l’ Italia diventa in breve un’ esportatrice dei preziosi frutti gialli, forse appartenenti alle specie Musa ensete e Musa abissinica. E la banana di Palermo? Vincenzo Ostinelli, capo giardiniere a villa Trabia nei primi del ‘900, che pure ha curato un trattato minuzioso su tutte le colture, locali ed esotiche, la guarda con sufficienza, liquidandola in poche battute. La banana, insomma, rimane all’ Orto botanico e nelle dimore di qualche centinaio di amanti delle novità tropicali. I quali si scambiano consigli, ricette, curiosità, compresa la ricetta della banana acerba, cucinata come se fosse una pietanza salata. Oggi i frutti, più piccoli e tozzi di quelli che si trovano normalmente alla Vucciria o a Ballarò, arrivano regolarmente a maturazione ma non raggiungono mai i mercati, causa la scarsa produzione. Sono però consumati dai palermitani che a quanto sembra ne sono ghiotti. «Ha un sapore decisamente superiore alla banana tradizionale, con un vago sentore di vaniglia», dice Daniele Ottobre, la cui casa presenta uno spettacolare giardino di banani in pieno centro, fra le alte e pretenziose cortine edilizie di via Roma. «Il gusto più equilibrato e una pasta più morbida – sostiene Manlio Speciale, curatore dell’ Orto botanico – sono una caratteristica che risalta subito, forse perché il frutto matura all’ albero». Nulla a che fare con le banane che si acquistano al supermercato, raccolte verdi nei paesi del Centramerica o in India, etichettate con un bel bollino blu, stipate a maturate prima nelle navi bananiere e poi in alcune “muchate”, le vecchie cave arabe nei dintorni del capoluogo. Ma all’ Orto botanico la sperimentazione continua, a testimonianza di come gli ambienti accademici seguono costantemente l’ evoluzione dell’ agricoltura. Nella struttura diretta da Francesco Maria Raimondo il banano nano è coltivato in una serra, e nei pressi le piante all’ aperto crescono bene se esposte a mezzogiorno. A Linosa, invece, nonostante l’ aridità del clima, qualche tempo fa Di Martino e De Santis hanno sperimentato con successo la coltivazione, sfruttando il principio dell’ irrigazione a goccia e approfittando di una particolare convergenza climatica che alla sera regala un’ insospettabile umidità benefica. Infine, il francescano Antonio Curci, reduce dalle sue peregrinazioni missionarie, ha scovato e donato all’ Orto un banano “supernano”, alto appena un metro e già in grado di produrre. Ma Curci non è l’ unico prete che interseca la storia del banano. La pianta, di cui si ha notizia in un trattato buddista del 600 a. C, giunse ufficialmente in Europa nel 1690. In America centrale arrivò grazie ad un altro religioso, il vescovo spagnolo Tomaso de Barlanga, che ne piantò alcuni esemplari nell’ isola di Santo Domingo. A diffonderla più a sud ci pensarono i portoghesi, tanto che il mercante fiorentino Francesco Carletti, agli inizi del 1600, descrisse la pianta delle isole di Capo Verde le cui «foglie grandissime, e molto verdi, offrivano frescura a una persona». Ma per greci e romani comunque, le banane non erano oggetti sconosciuti, in quanto ne avevano apprezzato la bontà durante la spedizione asiatica di Alessandro Magno, nel 326 a. C. Plinio il vecchio chiamò infatti la banana «cibo dei sapienti», proprio perché preferita dai savi dell’ India, appellativo che nel Settecento spinse Linneo, il padre della tassonomia, a chiamarla Musa sapientum. Ma erano stati gli Arabi ad avere diffuso i primi germogli della pianta in occidente. Essa doveva apparire, magari in maniera puntiforme, già nei lussureggianti giardini arabi di Palermo presso i quali veniva menzionata dai medici per le proprietà terapeutiche. Nel resto d’ Europa, di contro, era una sconosciuta, menzionata nei racconti di mercanti, crociati e pellegrini. E già che ci siamo andrebbe forse riscritta una parte del catechismo. Infatti, fu proprio un frate francescano al ritorno dalla Terrasanta che scrisse del frutto degno delle Muse, «perciò che veramente è cosa degna delle Muse, o veramente perché le Muse usano tale cibo; questo è quel frutto che Adamo mangiò nel Paradiso». Dunque, la banana e non la mela sarebbe il frutto del peccato? L’ identificazione della banana come frutto del peccato, anche per la forma fallica, comportò una sua connotazione afrodisiaca nel codice miniato trecentesco “Tacuina Sanitatis”. A questo punto i più maligni penseranno che probabilmente in qualche concilio, stuoli di porporati hanno pensato bene di dare una sforbiciata ai testi sacri, adattandoli ai tempi cupi e morigerati dell’ Inquisizione. Ma questa è tutta un’ altra storia. L’ unica cosa certa è che oggi mela e banana sono i due frutti più diffusi e consumati al mondo. E che il loro commercio è in mano alle grandi multinazionali.

MARIO PINTAGRO

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Scheda tratta dal Portale dell’Orto Botanico di Catania

 

Musaceae

Musa x paradisiaca L.

Sinonimi
Musa sapientum L.
AreaOrigine
Asia tropicale
Etimologia
Il termine generico è dedicato ad Antonio Musa, medico dell’Imperatore Augusto. Il termine specifico allude ai frutti (banane) dalla polpa dolce e particolarmente apprezzabile.
Collocazione e caratteristiche
Settore: IV 03
Numero: DF
Collezione: Piante esotiche
Dimensioni:  
Stato di conservazione:  
Disponibilità semi: No
Portamento
Pianta stolonifera alta fino a 7 m con fusti cilindrici formati dalle guaine fogliari.
Foglie
Le foglie sono oblunghe, lunghe 2,50 m e larghe 60 cm.
Fiori
Le infiorescenze sono pendule, costituite da grappoli lunghi fino a 120 cm, avvolti ciascuno da una brattea a forma di spata di colore rosso-scuro. I grappoli inferiori sono formati da fiori femminili, mentre quelli superiori da fiori maschili. Calice 3-5 dentato, corolla di 1 petalo, stami 5(6); ovario infero triloculare.
Frutti
Il frutto è una bacca più o meno carnosa, angolosa, commestibile, di colore giallo a maturità.
 
 
Periodo di fruttificazione
Fruttifica dopo due anni dalla piantagione.
Coltivazione
Si coltiva in siti riparati dai venti, ben soleggiati e ricchi di acqua. E’ abbastanza rustica in Sicilia. L’impianto va fatto con almeno tre esemplari alla distanza di 1,5 m l’uno dall’altro. Esistono diverse varietà come la ‘hart’s shoice’, la ‘arinoco’, e la ‘comune di Sicilia’ interessante per la ricca produzione e per i frutti molto gustosi.
Propagazione
Si moltiplica per polloni.
Uso
Se ne coltivano numerose varietà nelle regioni tropicali di tutto il globo, principalmente a scopo alimentare.
Interesse
E’ una pianta tropicale molto diffusa per la produzione di frutta pregiata.

 


Note

  1. Orto Botanico di Catania, su dipbot.unict.it. http://www.dipbot.unict.it/orto-botanico/scheda.aspx?i=278
  2. Raffaele Ciferri, L’industria del Banano in Sicilia, Ministero delle Colonie – Regia Azienda Monopolio Banane – Monografia N. 1
    Roma, Soc. Ital. Arti Grafiche, 1936 – XIV. In-8° (24 x 179, pp. 29+(3), con 6 tavv. di illustrazioni numerate col testo. Bella leg. in pieno marocchino blu, al piatto anteriore stemma sabaudo impresso in rilievo, risguardi in carta marmorizzata. Conservata copertina originale a colori. (10426) Bell’esemplare in legatura sabauda di questa monografia pubblicata dal Ministero delle Colonie, R. Azienda Monopolio Banane. R. Ciferri, dell’Università di Pavia, ritiene non essere opportuno nè conveniente promuovere la coltivazione industriale del banano in Sicilia, con una produzione da destinarsi al mercato locale, non in grado di competere con quella della Somalia per qualità e quantità.

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